giovedì 6 novembre 2014

L'era dell'esibizionismo globale - 7

AVVISO IMPORTANTE: LETTURA INADATTA AI BAMBINI

9
I mass media lo consideravano, inevitabilmente, il quarto attentato della serie.
Anche le forze dell’ordine ne erano certe, e la tensione saliva sempre di più a causa delle violente proteste dell’opinione pubblica contro l’incapacità di polizia e carabinieri di fermare la strage e restituire fiducia ai cittadini.
Il nervosismo era palpabile: il ministro degli interni era stato sfiduciato da uno dei partiti della maggioranza; un noto quotidiano aveva lanciato un sondaggio on line per chiedere la rimozione del capo della polizia dal suo incarico ricevendo cinquantanove milioni di ‘sì’; il generale in capo dell’Arma aveva aperto un gruppo su facebook battezzandolo ‘vi chiediamo scusa per la nostra inefficienza’ (alcuni lo avevano apprezzato, altri lo avevano bollato come una furba mossa per farsi compatire ed evitare l’argomento dimissioni).
Anche l’ispettore Berruti, nel suo piccolo, era stato costretto a rinunciare a una delle tre settimane richieste per agosto perché tutte le ferie erano state congelate in attesa che si ridefinisse la strategia per riuscire infine ad arrestare il maledetto attentatore.
L’unico che manteneva la calma era Doglia.
Da alcuni giorni non manifestava più segni di apatia: i suoi gesti non erano mai forzati, gli occhi tralucevano educata attenzione verso ogni parola altrui. Tuttavia appariva poco coinvolto dalla gigantesca caccia all’uomo.
“Vuoi dirmi qualcosa?” sbraitò l’ispettore notando lo sguardo insistente del suo vice. Era appena terminata una nuova videoconferenza tra ministero, servizi segreti e i colleghi carabinieri, e lo stress montava.
“Posso prendermi una giornata domani?” domandò con estrema naturalezza Doglia.
Berruti reagì incredulo e incazzato. “Mi prendi per il culo?”
“Un giorno. Solo uno. Poi ne prenderò un altro il prossimo mese e uno ad agosto. Così ti lascio libere tutte le settimane che vuoi”.
“Forse ti sfugge qualcosa…”
“Che contributo posso dare io? Non so se ti sei reso conto: in base alla mia proposta – che tu avevi giustamente predetto essere una stronzata – è saltato fuori un potenziale sospettato. Passa un giorno, e il mio sospettato diventa la vittima del quarto attentato. Questo è un segno del destino: quante possibilità c’erano, a livello di probabilità statistica, che toccasse proprio a lui? Una su tre milioni? Beh, è successo. Lo vedi? È il fato che mi sta dicendo: ‘Renditi conto di quanto sei coglione: hai elaborato un’ipotesi investigativa in un momento in cui i sospettati potevano essere migliaia e sei stato sputtanato immediatamente”.
“Che sei un coglione è vero” lo insultò Berruti, anche stavolta sforzandosi di dare un tono ironico che tuttavia non si notava affatto. “Ma in questo momento anche i coglioni sono necessari, nessuno può assentarsi”.
Doglia allargò le braccia.
“Certo che è una coincidenza strana che l’attentato vada a colpire proprio l’uomo che sarebbe stato indagato se avessero accettato la tua proposta…” sibilò l’ispettore.
“E va bene, mi hai scoperto: l’attentatore sono io” cazzeggiò il vice.
“Sta attento perché io faccio passare pure questa ipotesi. Pur di smuovere qualcosa, pur di evitare che si arrivi al quinto attentato mentre noi siamo ancora nell’incertezza più totale, ormai propongo qualunque stronzata al commissario. Anche te come presunto colpevole”.
“Mah” ridiventò serio Doglia “io penso che con tutti controlli che stiamo eseguendo l’attentatore preferirà fermarsi per un po’ di tempo. Anzi, non mi sorprenderei se quello di ieri fosse stato il suo ultimo attentato…”
“Sì, adesso proviamo con la speranza! Diglielo al commissario! Il mio nuovo piano è: attendere! Con un po’ di fortuna il tizio nei prossimi giorni morirà di vecchiaia e smetterà di piazzare bombe!”
“Potrebbe succedere” commentò Doglia con un sorriso non troppo sfacciato, sufficiente però per innescare la rabbia latente di Berruti.
“Ma vaffanculo! Va bene, te lo concedo il giorno di ferie per domani! Ma solo perché non ti voglio più avere tra le palle almeno per ventiquattro ore!”
“Grazie” accettò con sincera gratitudine il poliziotto.

10
Michela Eranio era già stata informata il giorno precedente.
Suo padre aveva pochissimi parenti. Li sentiva una o due volte all’anno, ed erano tutti apparentemente troppo indebitati per permettersi di contribuire alle spese cimiteriali.
La ex moglie, da anni residente a Londra, non aveva alcuna intenzione di rientrare in Italia per organizzare un funerale di cui le fregava meno di niente, neppure se la richiesta fosse partita dalla figlia, perciò la giovane aveva dovuto farsi carico delle incombenze economiche da sola, anche se ormai il suo legame col padre era inesistente e del suo corpo dilaniato le importava poco.
Quando Doglia si presentò a casa sua lei lo accolse convinta che fosse un dipendente delle pompe funebri venuto a consegnargli i documenti relativi alle avvenute esequie.
“C’è un equivoco: io sono della polizia” si qualificò mostrando il tesserino.
“Oddio, mi scusi. Ho la testa incasinata con tutte queste rogne che mi sono cascate addosso negli ultimi due giorni…”
Era un appartamento piccolo ma ben tenuto, una base d’appoggio per una giovane che probabilmente trascorreva quasi l’intera giornata (e forse buona parte della nottata) fuori casa.
Il poliziotto esordì con la prima fase del discorso che aveva predisposto già dalla sera prima. “Stiamo indagando sull’attentatore, e ancora non sappiamo se colpisca con un senso logico oppure no. È possibile che esista un legame fra le vittime”.
Michela Eranio lo ascoltava distratta. Si allontanò per inserire una cialda del caffè nella macchinetta e gli diede le spalle, girandosi una sola volta mentre attendeva che la tazzina si riempisse.
“Quindi abbiamo deciso, per sicurezza, di creare un servizio di protezione per i parenti delle vittime”.
“Vuole un caffè?”
“Sì, grazie. Perciò lei dovrà sottoporsi a questo servizio di protezione”.
“Quanto zucchero?”
“Amaro”.
La ragazza, senza invitare l’ospite a sedersi, gli porse la tazzina. Lei stessa d’altronde rimase in piedi, la faccia stanca ma senza alcun ombra di dolore. “In che consisterebbe?”
“Deve solo segnalarmi i suoi spostamenti. E anche ogni eventuale situazione sospetta, tipo gente che la segue o cose del genere. Una volta al mese le verrò a fare visita. Cerchiamo di indagare e al tempo stesso di garantire la sua incolumità. Tutto qui”.
Michela buttò giù il caffè in un’unica sorsata. Secondo l’anagrafe aveva venticinque anni; la freddezza del suo sguardo ne denotava il doppio.
“Visto che sono qui”, si arrampicò sugli specchi il poliziotto, “posso permettermi di chiederle se nei giorni scorsi le è capitato qualcosa di strano, di inatteso?... Se ha qualche problema ne parli pure, in fondo il nostro compito è proteggere i cittadini”.
Per un istante le labbra della giovane si incresparono in un sorriso ironico.
“Di problemi ne ho parecchi. La mia vita è un casino”.
Doglia annuì con aria fraterna. “Il mio incarico è vegliare sulla sua sicurezza personale per questa storia degli attentati. Però, se ne ho la possibilità, posso fare qualcosa anche per altre situazioni, soprattutto se sono ravvisabili gli estremi per un intervento della forza pubblica”.
Gli occhi di Michela lo penetrarono come uno scanner. “Dove sta la fregatura?”
“In che senso?” replicò il poliziotto con un filo di ansia nella voce. Temette che la ragazza avesse percepito l’aura delle bugie che lui le aveva appena proposto.
“Arrivi qui, dici che vieni per proteggermi, ti metti a disposizione…! Troppo perfetto, c’è qualcosa che non quadra. Io non ci credo al cavaliere senza macchia e senza paura che si mette al servizio della povera principessa indifesa. E comunque” precisò “io non sono indifesa. E neanche principessa, vabbé!”
“Aspetti un attimo…” si stava innervosendo l’uomo.
“L’ultima volta che ho avuto a che fare con la polizia” lo travolse Michela “mi hanno chiesto servizi gratuiti… Tu che intenzioni hai?”
La tensione alle tempie di Doglia si rilasciò, le labbra si sciolsero in un sorriso. La ragazza non aveva affatto subdorato la menzogna del fantomatico programma di protezione: era semplicemente poco avvezza a ricevere forme di aiuto disinteressato. Aveva sperimentato l’amore incompatibile del padre, quello finto e furbo del tizio che la aveva inserita nel settore – ormai in decadenza – della pornografia, quello assente della madre, quello materiale dei suoi clienti… La ‘solidarietà’ era per lei sinonimo di ‘proposte ingannevoli’ in cui si nascondevano secondi fini. In fondo anche stavolta lo scenario era simile, ma il secondo fine non dichiarato del poliziotto era prendersi cura di una giovane in difficoltà per mantenere la parola data a uno stragista psicolabile morto suicida. O piuttosto, nel caso specifico dell’istante in cui era stato suggellato il patto, si trattava di un padre che a modo suo amava sinceramente la figlia.
“Sono un poliziotto non corrotto” la rassicurò Doglia. “Evidentemente mi sento un po’ Robin Hood”.
“Ma quello era un ladro” obiettò Michela. “Rubava e lo sceriffo gli dava la caccia”.
“In quel momento era giusto rubare, e il vero ladro era il poliziotto”.
Si fissarono muti per un istante e quasi contemporaneamente abbassarono lo sguardo, come due adolescenti intimiditi.
“Insomma, se serve aiuto” riprese il poliziotto “se per caso si trovasse in qualche situazione fastidiosa…”
Lasciò la frase inconclusa per non dare l’impressione di aver curiosato troppo nella vita della ragazza. Ma lei non aveva nulla da nascondere: : era cresciuta in un mondo in cui i segreti personali non esistevano più.
“Di fastidioso c’è uno con cui ho girato qualche filmino sadomaso, che poi mi ha pure convinto a fare la mignotta, ogni tanto”.
“Ormai coi filmini non si guadagna niente” sentenziò il poliziotto, “Con tutto il materiale gratis che si rimedia, nessuno paga per vedere le stesse cose che la vicina di casa mette on line su dailymotion”.
“Infatti serviva solo a farmi pubblicità come zoccola. L’ho capito dopo”.
Doglia finì di sorseggiare il caffè. “In genere quel tipo di soggetti fastidiosi si spaventano facilmente: basta mostrargli il tesserino e se la fanno addosso. Se lei me lo chiede…”
“Dammi del tu per favore, non ci sono abituata al lei!”
“Se tu me lo chiedi” si corresse subito il poliziotto “ci vado a parlare e sta pur certa che non ti cercherà mai più”.
Michela accennò un sì con la testa. “Mi sarebbe utile in questo momento. Però dovrò inventare qualche altro metodo per guadagnarmi la giornata…”
“Mi informo anche su questo. Hanno creato un programma di reinserimento per giovani in difficoltà che… beh, non ti aspettare chissà quali opzioni: commessa part-time o cameriera nelle ore di punta, robetta di questo genere. Però almeno porti a casa uno stipendio”.
La ragazza assentì nuovamente.
“Allora me ne vado. Per qualunque novità contattami”.
Michela lo accompagnò sino alla porta, e mentre lui era già sul pianerottolo e le dava le spalle dopo averla salutata, lei lo chiamò un’ultima volta.
Doglia si voltò. Negli occhi freddi della ragazza vide brillare, finalmente, una scintilla di fiducia. I lineamenti si ammorbidirono in un’espressione amichevole che le dava davvero l’aspetto di una venticinquenne. Anche la voce risuonò più fresca, più innocente.
“Se per caso ti capita un giorno libero e non hai niente di interessante da fare… Beh, insomma, mica devi aspettare che c’è un’emergenza, no? Mi chiami, mi mandi un messaggino, ci vediamo a un bar e scambiamo due parole”.
Il poliziotto ricambiò il sorriso. Anche lui sembrava ringiovanito.
“Perché no?”

11
Camminava lungo uno stradone di periferia in direzione della fermata della metropolitana: una squallida distesa di asfalto disseminata di buche e toppe catramose, attorniata da monoliti di cemento squadrati, scrostati, scavati come formicai e stipati con migliaia di persone. Eppure guardava il cielo e i pochi inattesi alberi piantati irregolarmente sui bordi del vialone, e respirava gioia.
Doglia era leggero, rasserenato. Erano ormai parecchi giorni che la sua mente non si dissolveva in una nebbia di apatia: il grado di interesse per il mondo che lo circondava era vigile, costante, privo di punti morti.
Proprio mentre si rendeva conto di essere più vivo, più coinvolto, il cellulare trillò vibrandogli nella tasca della camicia. Era un avviso pubblicitario del suo gestore: quella sera, alle nove precise, avrebbero trasmesso in streaming in esclusiva, solo per i clienti della rete mobile con abbonamento ‘voice & wi-fi extralarge’, le operazioni di ricomposizione della salma dell’ultima vittima dell’attentatore misterioso. L’agenzia di pompe funebri addetta alle esequie dell’uomo ucciso al villaggio Breda aveva venduto il filmino con le fasi salienti del loro lavoro: la ricomposizione dei pezzi del corpo, la collocazione nella cassa zincata, i processi chimici di disinfezione a fini sanitari.
(Era una tipica prassi dei necrofori: quando i parenti dei morti richiedevano il servizio più economico, guadagno minimo per loro, arrotondavano rivendendo il video con le immagini della loro opera professionale, in fondo si trovava sempre qualcuno interessato, e stavolta si parlava di una vittima nota grazie alla sua provvidenziale morte tramite attentato).
Il sorriso sereno di Doglia si cancellò. “Mi dispiace” mormorò in direzione di una nuvola in cui avrebbe potuto vagare lo spirito inquieto di Vincenzo Eranio. “Alla fine ti hanno trasformato ugualmente in un personaggio di dominio pubblico. Sarai condiviso da milioni di spettatori che ti commenteranno su twitter. Il tuo cadavere diventerà un hashtag e domani su facebook parleranno di te. Devi rassegnarti: questo è un mondo complicato che funziona come gli scacchi, non ha la linearità della dama”.
Scosse la testa e poi con aria complice sussurrò: “Però sembra proprio che tua figlia voglia farsi aiutare. È questa la cosa più importante”.
Un barlume di sole filtrò per un attimo sopra la nuvola, tralucendo un raggio luminoso che balenò nel cielo simile a un riflesso.


FINE

12 commenti:

  1. Che belloo!
    Il lieto fine anche se aperto denota una volontà di sperare che le cose vadano diversamente e forse è questo quello che fa differire la nostra epoca da quelle in cui i grandi romanzi distopici sono stati scritti.
    Quei tempi erano duri come le guerre e la riabilitazione era molto difficile, adesso è tutta una questione mediatica, come sottolinei tu in quest'opera. lo scenario mondiale e non è molto più aperto e nonostante le brutture permangono, ci sono anche teste che pensano - sia in modo superficiale che non.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Volevo evitare il lieto fine ad alto contenuto di glucosio ma non volevo neppure un finale drammaticissimo. Mi piacciono i finali aperti, soprattutto riguardo il futuro ;-)

      Elimina
  2. Beeellloooooooooooo!
    Complimenti Ariano!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono contento che ti sia piaciuto. Il finale è sempre la parte che mi fa sorgere più dubbi.

      Elimina
  3. Molto carino.. mi piace che ci sia cmq un po' di speranza e positività nello schifo generale della realtà.. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se non ci fosse, non avrei neppure voglia di scrivere ;-)

      Elimina
  4. Ti è venuto davvero bene, Ariano, ma non credo che il libro che hai recensito abbia così poche pagine. Conterrà almeno altri sette o otto racconti, giusto?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Beh, come avevo detto all'inizio non me la sono sentita di svilupparlo come un romanzo e per ora resta un racconto isolato.
      Se mi venissero altre idee per un nuovo racconto lo scriverò sicuramente, ma al momento non sono previsti sequel, sorry...

      Elimina
  5. Ripeto per l'ennesima volta la mia premessa: io non amo i racconti ma prediligo gli scritti "lunghi" piuttosto strutturati.

    Tuttavia ho trovato il racconto carino e godibile.
    La parte che mi è piaciuta di più è stata la seconda inserzione riguardante i piedi dellle donne.
    Ho apprezzato la tua capacità espressiva soprattutto nell'inventare le tre inserzioni.

    La storia regge bene e arriva alla sua conclusione anche nella brevità del racconto, però lo spunto è buono ed è uno di quei racconti che somiglia a una "pasta": può essere "stesa" per ottenere uno scritto più ricco.

    Ho trovato - sicuramente è voluto - un po' esagerato l'inseguimento alla condivisione social descritta all'inzio, quando c'è la seconda esplosione. Lo so che è il cuore del tema racconto, ma forse il crescendo è troppo veloce solo perché si tratta - appunto - di un racconto e non di un romanzo.
    Comunque grazie! :-) L'ho letto con piacere.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ah, sì, grazie per averci risparmiato un finale da diabete!
      Così com'è è perfetto.
      Unica cosa: non è chiaro - o sono scema io - del perché Doglia sia così apatico…

      Elimina