giovedì 24 febbraio 2011

Il dono

Come avevo accennato ho trascorso la settimana scorsa con gli operai in casa a rifare le pareti ormai gonfie di umidità. Li osservavo mentre lavoravano sulle piattaforme di legno con la testa rivolta al soffitto e passavano pennellate di acqua ragia e pittura che gli ricadevano in faccia. A un certo punto per velocizzare i tempi ho dovuto collaborare, prendendomi l'incarico di togliere la carta da parati vecchia di trent'anni che ormai aveva fatto presa al muro e non ne voleva sapere di staccarsi. L'ho combattuta a colpi di spatola, di unghie, di pennellate di solvente e di movimenti ossessivi del braccio destro (ricordate l'allenamento di Ralph Macchio in base alle istruzioni di Pat Morita in “Karate kid”? Ecco, una cosa del genere).
Dopo quattro ore trascorse così, coi capelli imbiancati dalla polvere di calce che si staccava dal muro e la schiena che implorava pietà, avevo solo il desiderio di sdraiarmi sul letto. E così ho fatto.
È stato quasi inevitabile mettersi nei panni di quegli uomini che fanno questo lavoro normalmente tutti i giorni, otto ore al giorno. Mi sono chiesto se dopo una giornata così pesante ci possa ancora essere la voglia di scrivere o leggere. E ho cominciato a pensare che queste attività mi risultano fattibili solo grazie a una vita sedentaria e a un lavoro impiegatizio che non piegano la colonna vertebrale e non sfiancano il corpo. Se il fisico è distrutto, la mente non connette.
Insomma, sarei capace di continuare a fare il nerd scribacchino se dovessi guadagnarmi da vivere scaricando le cassette di frutta al mercato? Questa è la domanda, e la risposta temo proprio che sia “no”. La letteratura, anche e soprattutto dilettantesca, è un privilegio. A maggior ragione la vivrò così, come un dono prezioso per il quale devo essere riconoscente alla mia famiglia, alle circostanze della mia vita, e naturalmente a Dio.

8 commenti:

  1. Mio nonno materno ha lavorato come muratore per tutta la vita; all'epoca gli orari erano molto più duri di adesso, si lavorava anche quando il clima non voleva permetterlo.
    In quegli anni faceva molta difficoltà anche a leggere qualche quotidiano locale, ma quando andò in pensione la situazione si ribaltò: non essendo più molto stanco fisicamente, non sentiva il bisogno di dormire più di quattro o cinque ore a notte; accanto alle sue foto da lavoratore, sopra tetti e tralicci, ci sono tutti i romanzi che ha letto per passare le notti e i pomeriggi della sua vecchiaia. :)

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  2. Caro, sembra come che il cervello e la manualità non possano convivere. La mia considerazione è che quando gobbavo manualmente ero stanco morto e pieno d'acciacchi, ma dopo una sana dormita mi sentivo rigenerato. Ora che, diciamo così, si lavora con la mente (non ne serve molta però) non ho dolori fisici e il sonno non mi rigenera, lasciando in me quella strana sensazione di non stacco dal lavoro. Se potessi dedicherei il mio tempo all'agricoltura....;-)

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  3. Non so, quando si è stanchi fisicamente è difficile scrivere, ma suppongo che se abbiamo il desiderio di farlo indirizziamo il nostro destino verso un lavoro che ci permette di farlo. Io sono stato socio di una società informatica, lavoravo tredici ore al giorno e non avevo più voglia di fare nulla alla fine sono scoppiato ed ho mollato tutto, ho rinunciato ai soldi ma almeno adesso ho un pochino più di tempo:-)

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  4. L'uomo dovrebbe poter scegliere se lavorare o no.
    Lavorare per poter vivere è la più grossa ingiustizia che esista.
    (Paris, sposami.)

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  5. Un mio amico muratore dice che lui non potrebbe lavorare in un ufficio davanti a un computer, perché impazzirebbe. Io invece morirei dopo 2 giorni di lavori manuali.

    Poi a fine giornata la stanchezza fisica è diversa da quella mentale... ma io per dire da quando ho ripreso a studiare non scrivo più, perché, non ho la mente "libera".

    Simone

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  6. Quando facevo l'operaio mi facevo un mazzo così... ma il tempo per scrivere e leggere lo trovavo. Anzi, forse ero anche più motivato a farlo perché avevo meno tempo. Adesso che ho più tempo potrei scrivere di più, paradossalmente però scrivo di meno. Forse avere orari di scrittura obbligati mi aveva obbligato ad essere più metodico: un'ora al giorno come minimo la trovavo e non DOVEVO fare altro.

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  7. Interessante poter confrontare l'ipotesi che ha originato questo post con chi l'ha vissuta in prima persona o magari in modo indiretto.
    Quindi forse troverei comunque il tempo e la voglia di scrivere e leggere anche facendo un lavoro logorante dal punto di vista fisico.

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  8. La mia esperienza è molto vicina a quella di Mirco. Quando lavoravo 10 ore al giorno con braccia e mani arrivavo a sera distrutto, ma un po' di tempo per la scrittura lo trovavo sempre. Adesso se non ho un'esigenza particolare (vedi il SB), ho tante idee, ma alla fine mi faccio trascinare da altro e tralascio la scrittura.
    Temistocle

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