lunedì 8 febbraio 2010

Nerdotaku

Come avevo anticipato nel post in cui facevo il punto della situazione, nelle ultime settimane ho scritto due short stories brevissime basate su un'idea di Mirco. Lui stava lavorando a dei "racconti nerd" che ho avuto il piacere di leggere, mi hanno ispirato, e mi hanno fatto diventare più realista del re. Non esagero: Mirco stesso ha confermato che i miei due raccontini sono molto più nerd dei suoi ;-)  In effetti a suo tempo sono stato anche un po' otaku, quindi li ho battezzati "nerdotaku".
Ne sto scrivendo un terzo. Quando sarà concluso penso di riunirli in un ebook gratuito su lulu.com
Nel frattempo li pubblicherò separatamente sul blog, anche perché le idee latitano e ritrovarsi tre post già pianificati é un bel vantaggio...
La lettura sul blog può essere più faticosa, ma sono veramente brevissimi, circa 10.000 battute ciascuno.
Per quanto riguarda il loro valore letterario... beh, spero di ricevere qualche opinione in merito.


RADUNO ALIENO

L’alieno era avvolto dal freddo crepuscolo di una sera invernale. Piccole fumate biancastre gli fuoriuscivano dalla bocca mentre respirava a fatica la densa aria del pianeta Terra. Fatti pochi passi entrò nella metropolitana. Si guardò attorno per esaminare le forme di vita operanti al suo interno, e alla fine ne individuò una coronata da un cappello basso con visiera corta, elemento che lo identificava come “funzionario”. Si avvicinò alla lastra di vetro che isolava il “funzionario” dal mondo circostante e con un perfetto accento terrestre disse:
“Un biglietto per favore”.
L’alieno ritirò il titolo cartaceo che gli permetteva di accedere ai binari del treno sotterraneo. Vi incontrò altre sei forme di vita che attendevano l’arrivo del convoglio.
Una di queste forme era particolarmente ben messa, con capelli biondi, rossetto fucsia, cerchi dorati alle orecchie e gambe coraggiosamente esposte al gelo, riparate solo da leggerissime calze nere che si intonavano alla perfezione con la minigonna. Si voltò per un attimo verso l’alieno guardandolo in faccia. Poi l’attenzione si spostò sui piedi. Rimase concentrata su due strani stivali marroni che avevano la forma di piedi anfibi, e un attimo dopo ricominciò a fissarlo nella parte alta del busto. Lo stesso marrone faceva capolino dalle maniche e dal collo del cappotto nero che indossava per ripararsi dal freddo. Evidentemente sotto aveva una tuta, o qualcosa di molto simile. Dietro al collo pendeva un cappuccio con una forma particolare, una sorta di maschera da mostro…
“E’ un raduno”, spiegò l’alieno notando la faccia perplessa di quella ragazza. “Mi ha invitato il mio amico Alberto, che è un esperto di fantascienza. Personalmente ho sempre preferito il genere fantasy, infatti questo è il mio primo raduno extraterrestre. In genere andavo a quelli dei barbari e degli elfi. Beh, gli elfi solo una volta. Volevo sperimentare una cosa nuova, tanto per cambiare”.
La forma di vita terrestre biascicò un “Mmmm”, che poteva significare ‘Capisco’, oppure ‘Non me ne può fregare di meno’ oppure ‘Questo è scemo’.
Il convoglio arrivò in quell’istante, e mentre l’alieno saliva su un vagone in coda ripensò alle istruzioni ricevute. Alberto era stato chiaro: raduno nell’intersezione galattica fra la nebulosa di Magellano e la costellazione di Orione, che era stato abbastanza semplice identificare come l’incrocio fra Corso Ferdinando Magellano e Via Don Luigi Orione.
Per quanto riguardava l’orario, aveva parlato della settima frazione della rotazione universale applicandovi però il tempo di Tattoine. L’alieno (che si chiamava Ilario) si era messo a fare conti con la sua fidata calcolatrice e aveva stabilito con un margine di errore minimo che tale dato equivaleva alle ore 18.15 terrestri, fuso orario del conglomerato socio-politico ‘Italia’.
Alle 18 spaccate il treno giunse alla fermata “Marte” (per essere precisi all’angolo fra Via Campo di Marte e il Vicolo del Tempio di Diana). Pochi passi e l’alieno era già al centro dell’intersezione galattica. Ma dove si teneva il raduno?
Si guardò attorno sperando di scorgere altre forme di vita extraterrestre, ed ebbe fortuna: un tizio con una lunga coda grigia che fuoriusciva dal piumino stava sparendo nel sottosuolo. Evidentemente avevano scelto di riunirsi in un locale seminterrato.
Andò di corsa verso gli scalini e si calò nella stanza sotterranea sperando di scorgere Alberto. Era il suo unico riferimento in quel gruppo di maniaci della fantascienza.
Nella penombra della sala vide una ventina di persona decisamente eterogenee: un tizio sembrava alto due metri e mezzo, chissà che razza di trampoli si era messo ai piedi; un altro invece si era appena tolto il casco da motociclista mostrando una faccia piena di squame blu; e ce ne erano degli altri ancora con travestimenti così curati da fare impressione.
All’improvviso risuonò uno strano verso che sembrava il sibilo di un serpente misto a tosse piena di catarro.
“Per favore, niente lingue native”, urlò un grassone con la faccia tinta di rosso che aveva l’aria di essere il moderatore della riunione. “E’ stato stabilito di usare il terrestre come lingua franca, e invito tutti i presenti a non dimenticarsene”.
“Scusami Fulvur!”, replicò il parlatore sibilante.
“Va bene, scuse accettate”, tagliò corto Fulvur il rosso. Poi, dando una rapida occhiata aggiunse: “Mi sembra che manchi ancora qualcuno. Chi sono i ritardatari?”
“Mi sa che Alberto deve ancora arrivare”, intervenne Ilario ad alta voce.
Tutti gli alieni si voltarono contemporaneamente verso di lui.
“Chi sei?”, gli domandò un piccoletto alto circa un metro e mezzo con occhi da insetto, una specie di proboscide al posto del naso e il viso coperto di pelo grigio.
“Io sono un gungan del pianeta Naboo”, spiegò Ilario. “E tu?”
Il piccoletto non rispose. Lo guardò invece con aria sorpresa, o forse spaventata, oppure ostile (è difficile capire le espressioni facciali di una mosca).
“Fulvur, abbiamo un problema”, esclamò rivolgendosi al moderatore.
Seguì un lungo silenzio.
“Ah, capisco”, rispose infine il panzone rosso con un evidente imbarazzo nella voce. “Credo che ci sia stato un errore”, aggiunse rivolgendosi direttamente a Ilario. “Noi non siamo quelli che tu pensavi”.
“Non c’è Alberto?”
“No, nessun Alberto qui da noi”.
“Accidenti, scusatemi tanto. Ero convinto che fosse il Raduno di Guerre Stellari. Ho sbagliato parrocchia. Me ne vado”, concluse cercando di apparire il più disinvolto possibile. “Comunque complimenti per i costumi, davvero ottimi”.
Risalì lungo gli scalini e tornò nel bel mezzo dell’intersezione galattica fra Corso Magellano e Via Don Luigi Orione. Diede un’occhiata a 360 gradi e avvistò un iktotchi che attendeva un gungan ritardatario.
“Alberto! Sono qui!”, gli urlò mentre attraversava la nebulosa che li separava.
“Ma dove eri finito?”
“Alla riunione aliena lì di fronte. Non mi avevi mica detto dell’altro gruppo che si incontrava praticamente nello stesso posto!”
“Un altro gruppo? Qui?”
“Si, in quel sottoscala”.
“Onestamente non lo sapevo”, spiegò Alberto. “Conosco tutte le associazioni, e mi risulta che qui ci siamo solo noi”.
“Avresti dovuto vedere come erano mascherati bene! Sembravano veri!”
“Voglio chiedere al nostro presidente se li conosce. Non vorrei che ci facessero concorrenza”.
Tra una parola e l’altra erano giunti in un negozio di modellismo che esponeva in vetrina dischi volanti, astronavi e le indimenticabili miniature Gig di Han Solo, Luke Skywalker e Yoda. Un manifesto artigianale fatto con stampante a getto d’inchiostro pubblicizzava il 3° RADUNO ASTRALE DEI REDUCI DELLE GUERRE STELLARI. Una decina di ragazzi si erano già accomodati sulle sedie, pronti a gustarsi il programma della serata che includeva la consultazione dei rarissimi fumetti di Star Wars pubblicati dalla Marvel nei primi anni ‘80, una bibita imperiale a base di fragola, e l’ascolto di un cd di John Williams con alcune arie della colonna sonora della trilogia.
“Beh, come atmosfera è molto meglio qui” notò Ilario. “Quell’altro raduno era troppo formale, si prendevano sul serio in modo esagerato”.
“Ognuno ha le sue abitudini”, commentò Alberto mentre si infilava le lunghe orecchie (o corna? boh) da iktotchi. “Comunque sbrigati a metterti la faccia”.
“Va bene, agli ordini. Anzi...” Attimo di dubbio. “Come si dice ‘agli ordini’ nella lingua dei gungan?”
“Non lo so”, ammise Alberto, “Devi chiederlo a Gianni”, spiegò indicando una faccia glabra e marrone su cui spiccavano gli occhioni neri di un aqualish.
“Cominciamo” annunciò solennemente Obi Wan Kenobi.

Intanto nel sottoscala all’altro lato della strada regnava il silenzio. Fulvur si era allontanato, e gli alieni erano nervosi. Finalmente il moderatore riapparve in mezzo a loro suscitando un bisbigliare confuso.
“Allora”, esordì a voce alta per far cessare il parlottare sommesso dei presenti, “il Comando Interstellare deplora l’episodio avvenuto stasera, e ci invita a una maggiore prudenza. Inoltre”, continuò con molta rassegnazione nella voce, “ha ritenuto opportuno sospendere il progetto di invasione della Terra a data da destinarsi, visto che di fatto un terrestre si è infiltrato tra noi e per quanto ne sappiamo ora potrebbe essere già dalle autorità competenti per informarle del pericolo che il loro pianeta sta correndo”.
“Che stronzata! Quello lì non si era accorto di niente”, sottolineò un bestione azzurro con quattro occhi.
“E se pure andasse in giro a raccontare del nostro progetto di invasione, chi gli crederebbe? Lo prenderebbero per matto”, fece notare il tizio alto due metri e mezzo.
“Ragazzi, io la penso come voi, ma tanto si era già capito che al Comando Interstellare non gliene frega un cazzo della Terra”, concluse senza troppi giri di parole Fulvur. “Per loro è più importante quell’inutile blocco di basalto vicino alla Galassia di Andromeda, lo sapete bene. Cominciate a preparare i bagagli, fra qualche giorno si parte per una nuova destinazione”.
“Peccato, in fondo qui mi ci trovavo bene”, disse quasi sospirando un omuncolo verde. “Avevo persino fatto amicizia coi redattori di una rivista a fumetti che mi aveva assunto come sceneggiatore e grafico per le copertine”.
“Qui?”, gli chiese con una certa curiosità Fulvur.
“No, nella conglomerazione socio-politica chiamata ‘Giappone’”.
“Mi spiace per te Keroro”, concluse Fulvur, “la tua carriera artistica terrestre è già finita”.

4 commenti:

  1. Sorry, eppure ho scelto appositamente il carattere nero sul fondo grigio chiaro perché dovrebbe essere più riposante per gli occhi...

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  2. la parte di Keroro mi fa ammazzare dalle risate :d

    Ne ho un paio (cortissimi) da farti leggere, ma aspetto un po', devo correggerli.

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